Alcuni giorni fa leggevo un pensiero di Battiato che è poi parte del testo della sua canzone Personalità Empirica:
"Quando non coincide più l'immagine che hai di te con quello che realmente sei e incominci a detestare i processi meccanici e i tuoi comportamenti e poi le pene che sorpassano la gioia di vivere coi dispiaceri che ci porta l'esistente, ti viene voglia di cercare spazi sconosciuti ed allenare la tua mente a nuovi stati di coscienza".
Pensavo che sì, molti di noi arrivano presto o tardi a ritrovarsi in questa situazione e sentire questa voglia, ma fra l'avere voglia di fare una cosa e farla, ci passano in mezzo mille cose e non sempre ci si riesce.
Ma perché? Perché se dovrebbe essere così automatico... per istinto di sopravvivenza, per l'amore che dobbiamo a noi stessi prima che a chiunque altro, per il rapido comprendere che se senti di fare una cosa e non la fai, sai che dovrai fare i conti con più conseguenze negative che positive... e allora perché non si riesce a rivoltarsi, seguire una nuova e migliore via per il nostro essere?
Forse guasta che l'uomo sia un animale abitudinario, una specie che ama fare gruppo e che si lascia educare per questo con facilità da palesi o più sottintese regole sociali.
Però se rammento i tempi delle superiori, le mie esperienze con amici e parenti, ricordo solo che nella maggior parte dei casi ad apprendere pareva essere più chi insegnava e non l'allievo.
Fin dall'inizio della nostra esistenza l'asimmetria che c'è in una relazione educativa ha all'apice il concetto dell'autorità, per cui per anni e anni seguiamo schemi mentali e modi di fare e porci secondo come ci è stato insegnato.
Addirittura fino all'adolescenza i più di noi ripetono semplicemente quanto ci è stato insegnato. Poi si inizia ad usare un filo per volta in maniera indipendente le proprie funzioni mentali e comincia così un processo creativo a sé stante, innovativo a ben guardare se rapportato al nostro bagaglio precedente.
Spesso però il maestro, il genitore e insomma l'educatore che decide di porsi al livello dei suoi allievi in uno scambio reciproco di informazioni e con la disposizione che anche lui può apprendere qualcosa dai suoi allievi, pone le giuste e più sane basi perché il loro futuro non si formi costellato di un senso d'impossibilità a innovarsi, di fiducia nel poter cambiare le proprie prospettive per una crescita che segua il sentire, che sia improntato all'ascolto di sé senza arrivare ad estremismi e a punti limite.
Laddove un educatore voglia solo rivestire un ruolo indiscutibile e dare di sé la figura dell'insegnante che sta ad un livello superiore agli allievi, formerà una massa di individui che potrebbero solo apparentemente riconoscersi in lui e nei suoi metodi per poi ritrovarsi un giorno alla ricerca di un sé completamente sconosciuto perché ognuno di noi è un essere diverso . Oppure saranno individui che sotto il suo insegnamento coveranno in sé il seme della ribellione e del conflitto.
Presto o tardi cosa è giusto per se stessi fare, com'è giusto agire e porsi davanti a qualsiasi questione della vita , sono eventi che saliranno a galla senza più possibilità di rimandare a farci i conti.
Insomma quanto l'immagine che abbiamo di noi stessi coincide con come ci sentiamo di essere? Quante volte ci soffermiamo a pensare che stiamo facendo una cosa meccanicamente e non riconosciamo i nostri stessi comportamenti? E quando ci sentiremo stufi di farci soggiocare dalla parte amara della vita decidendo finalmente di cambiare la prospettiva da cui la osserviamo e adattare cose e situazioni a noi e non noi al tutto che ci circonda?
2 commenti:
In effetti spesso è difficile fare quello che vogliamo o ci proponiamo di fare e davvero, a volte, non ci riconosciamo più... ritrovarsi poi è davvero difficile... io ci sto provando ;)
difficile fare quello che sentiamo di dover fare, ma indispensabile. Io non ho quasi mai dovuto dire "se avessi fatto" , il rimpianto è sicuramente devastante
Annamaria
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