18 luglio, 2012

recensione PER L'AMORE BASTA UN CLIC - RAINBOW ROWELL

Lincoln è un giovane plurilaureato che come lavoro fa l'esperto di sicurezza informatica per un quotidiano ma di fatto è pagato per "spiare" le e-mail dei vari impiegati al fine di rispettare alcune regole interne visto che internet è demonizzato. Siamo nel 1999 quando la diffusione della rete non era così capillare e popolare come oggi ma le e-mail, specie tra colleghi erano diffuse ed era il miglior modo di comunicare per Beth e Jennifer, due giornaliste. Il loro uso della posta elettronica è personale ed andrebbero richiamate ulteriormente ma per Lincoln sono diventate quasi amiche, si diverte a leggere di loro, dei loro problemi, delle loro relazioni e così si limita a leggere le mail "sospette" senza mai farne un rapporto formale.
Lincoln è single da tempo e non riesce a socializzare, Beth è fidanzata da anni con un musicista spiantato che non si decide a fare il grande passo mentre Jennifer è sposata con un insegnante ma trema al pensiero di restare incinta.
Le vite dei tre e dei loro amici e famigliari si imgarbuglieranno ed incroceranno più o meno casualmente finchè Lincoln deciderà di dare le proprie dimissioni. A questo punto si può pensare che un lieto fine non ci sia per nessuno di loro ma, per fortuna, con qualche pagina di ritardo e struggimento arriva :).
Le e-mail tra Beth e Jennifer sono intervallate ai pensieri di Lincoln per quasi tutto il romanzo, si procede quindi in una sorta di parallelo chiedendosi se le loro strade potranno mai incrociarsi, le aspettative sono elevate, il titolo fa ben pensare ad un romance e la trama allo stesso modo coinvolge.
Fa pensare che l'amore vero trionfa sempre, specie se si sa aspettare e che il destino, a volte beffardo, qualche volta non rema contro ma a favore, una lettura piacevole insomma anche se in qualche punto un pò lenta.

15 luglio, 2012

UN PIZZICO DI...

Per la rubrica "Un pizzico di..." questa volta tocca a me, Stefania, parlarvi di qualcosa che mi frulla per la testa e visto che siamo in piena estate e con temperature torride ho deciso di parlarvi di un pò di TURISMO MADE IN SUD.



Sono pugliese, la mia regione è detta la California d'Italia per l'esposizione solare ed il clima, celebri sono i luoghi marittimi visto che siamo circondati dal mare si può dire tra Mar Ionio, Mar Adriatico e Mar Mediterraneo volendo. Di sicuro avrete sentito parlare di varie località del Gargano come ad es. Peschici o Vieste, di altre nel Salento come Ostuni o Gallipoli e via discorrendo ma in Puglia non c'è solo il mare e così oggi vorrei parlarvi del mio territorio, quello della bassa Murgia barese, denominata anche Valle d'Itria, comprensiorio delle grotte e dei trulli.

LE GROTTE DI CASTELLANA
La natura carsica del sottosuolo pugliese ha dato origine a numerose grotte dalle forme e dalle dimensioni più varie. Grande importanza rivestono quelle di Castellana, in provincia di Bari, scoperte nel 1938: si estendono per una lunghezza di circa 3 chilometri, fino a raggiungere profondità dell'ordine di 72 metri al di sotto del livello del mare. L'ingresso naturale è rappresentato da un'enorme voragine profonda 60 metri denominata la grave, termine dialettale locale per indicare una grande voragine. Da qui è possibile raggiungere la caverna nera, così denominata per la particolare colorazione che assumono le pareti per la presenza di piccoli funghi. Passando tra le colonne di stalattiti e stalagmiti si arriva alla Grotta Bianca (definita come la "più splendente al mondo") e la caverna della Torre di Pisa, così denominata per la particolare forma di una grande stalagmite, che ricorda l’omonima torre  toscana. La temperatura all’interno delle grotte è costante intorno ai 14 centigradi e l’umidità è tra il 94 ed il 100%.



I TRULLI DI ALBEROBELLO
Alberobello è stata dichiarata patrimonio dell’umanità’ dall’Unesco nel 1996, è nota per i suoi trulli, ne conta, infatti, più di 1.400 e perfino la chiesa, intitolata a Sant’Antonio, è un trullo. Il trullo è la tipica costruzione rurale dell’entroterra barese. Le sue origini si perdono nel tempo e il suo nome, che deriva sia dal greco “tholos”sia dal latino “turris”, sta a significare “cupola”. Sono edificati con scaglie di pietre che si reggono esclusivamente per la maestria del costruttore in quanto non si usa malta né altro materiale di sostegno. In cima al cono c’è sempre un pinnacolo di varia forma che, secondo alcuni, aveva funzione decorativa, secondo altri distintiva, perché voluta e imposta dal regnante che governava. I misteriosi segni dipinti sul frontale del cono dei trulli sono simboli magici e propiziatori, alcuni di origine pagana, altri cristiana. Agli stessi, disegnati a calce, si possono attribuire vari significati, i più comuni sono invocazioni di protezione della famiglia dal malocchio ovvero venerazione di qualche divinità propiziatoria di un buon raccolto.


LUOGHI SACRI A NOCI

L’ABBAZIA DELLA MADONNA DELLA SCALA - L’ANTICA CHIESINA
L’antica chiesina rappresenta il primo incontro con Dio in quella innocente campagna che avrebbe poi ospitato l’attuale monastero che con la sua imponente architettura domina la valle.  S’innalza tra due grandi cedri che le fanno corona. Un gioiello di arte romanica, dalle linee sobrie e modeste, ma perfette ed eleganti. Questa chiesina bisogna pensarla, come rimase per tanti secoli, sulla vetta di questa collina, sola, senza tutto il complesso attuale degli edifici, quasi regina e dominatrice di questo colle.

L’ABBAZIA DELLA MADONNA DELLA SCALA  - IL MONASTERO
Il monastero benedettino della Madonna della Scala è ubicato a circa 5 km dal centro abitato in posizione panoramica su un'altura, fu fondato nel 1930 sul luogo di un precedente monastero benedettino, di cui si conserva una chiesa romanica del XII secolo incorporata in quella nuova edificata nel 1952. Vi vive una comunità di monaci guidata dal suo priore, particolarmente suggestive sono le celebrazioni durante l’Avvento e la Settimana Santa.

 CHIESA RUPESTRE DI BARSENTO
La chiesa abbaziale di Barsento fu fatta costruire secondo la leggenda per i monaci di sant'Equizio abate da papa Gregorio Magno nel 591. La presenza di un elemento autoctono pre-romanico, ossia l’architettura dei trulli, ha fatto supporre allo studioso Franscesco D'Andria che l'origine della chiesa fosse da far risalire alla dominazione longobarda (fine VIII-inizi IX secolo), o comunque, ad un periodo non posteriore alle invasioni saracene. Altri studiosi confermano questa tesi, mentre Gioia Bertelli rinvenendo nella chiesa elementi del periodo romanico ha dilatato l'epoca di edificazione ai secoli XI-XII (sottolineando che il monumento non presenta alcuna caratteristica architettonica tale da farlo ritenere una costruzione realizzata nell’alto Medioevo). La costruzione si erge in posizione dominante in cima ad una collinetta affacciata sul "canale di Pirro" (440 m s.l.m.), a circa 6 km dall'abitato.

CHIESA DI SANTA MARIA DELLA NATIVITA’
La collegiata (Chiesa matrice) rappresenta un ampliamento in fasi successive della chiesetta già esistente nel XII secolo dedicata al culto mariano e radicalmente trasformata nel corso dei secoli. Attualmente disposta su tre navate, ospita un fonte battesimale policromo trecentesco, un gruppo scultoreo della Madonna in trono col Bambino (1505), attribuita all'artista locale Stefano da Putignano; un Crocifisso barocco e 14 grandi tele della Via Crucis. Le tele sono citate nei documenti di archivio della chiesa a partire dal 1745 e costituiscono una collezione stilisticamente povera e modesta, con influssi caravaggeschi, probabilmente commissionata dal capitolo della chiesa al frate leccese Luigi del Santissimo Sacramento con l'obiettivo di istruire i fedeli. Nel presbiterio si trova un polittico in pietra locale e legno. Commissionato dal conte di Conversano Giulio Antonio Acquaviva e realizzato da Nuzzo Barba di Galatina, in esso sono collocate 9 statue lapidee ad esclusione di una in legno, che raffigurano la Madonna con bambino nella parte centrale, nel registro superiore Sant'Antonio da Padova, San Rocco, San Sebastiano e il Cristo risorto, mentre nel registro inferiore San Domenico di Guzman (in legno), San Pietro, San Paolo e San Vito Martire. All'antica facciata gotica della collegiata, con interventi effettuati tra la fine del XVIII secolo e gli inizi del XIX, si sostituì un nuovo prospetto neoclassico attraverso la costruzione di un grosso frontone che alterò il disegno originario. Nella seconda metà del XVIII secolo è portato a termine il campanile attuale (alto 35 m) in sostituzione di quello preesistente. A metà Ottocento è infine l'innalzamento della volta lignea della navata centrale e l'inglobamento delle colonne risalenti alla struttura gotica in nuovi pilastri lapidei.

SANTUARIO DELLA MADONNA DELLA CROCE
Il Santuario si trova a circa 1 km dal centro abitato sulla strada provinciale per Castellaneta. Giusta la storiografia locale, fu fatto edificare nel 1483 dai coniugi Pasquale Giannotta e Cecca De Nigris e da Angiolo Gusmano in onore della Madonna della Croce, il cui affresco fu rinvenuto, secondo la tradizione popolare, nella grotta esistente in un boschetto poco distante dalla Chiesa. Durante i secoli il Santuario ha subito vari ampliamenti per la cresciuta devozione dei fedeli, per l'aumentata popolazione, per i numerosi pellegrinaggi di devoti delle città limitrofe e dell'intera regione. Nel 1601 venne a visitarlo il Duca di Noci Giulio Acquaviva dei Conti di Conversano, il quale, per ringraziare la Vergine della salute riacquistata, offrì un paliotto ricamato in oro con la scritta A duce Nucum redivivo - MDCI. Sull'altare maggiore vi è l'affresco raffigurante la Madonna con il Bambino che sostiene nella mano sinistra un globo sormontato da una croce; un'altra croce, più grande, è posta in primo piano sulla figura della Madonna. La Madonna della Croce è, con san Rocco, compatrona di Noci e come tale viene festeggiata solennemente il giorno tre di maggio: durante tutto il mese mariano, inoltre, si susseguono le visite al Santuario e nella Chiesa Madre dove viene esposta una tela con l'effigie della Madonna.



09 luglio, 2012

recensione: AFFARI D'AMORE - PATRIZIA VIOLI

Angelica vive in una cinica famiglia matriarcale composta da nonna Beatrice, sua madre Isabella e sua sorella Viola.
Apparentemente ne Isabella ne le sue figlie hanno un padre, le loro identità infatti vengono tenute segrete, si tratta di figlie illeggittime e di unioni non proprio limpide infatti.
Per Beatrice gli uomini rappresentano solo un mezzo per poter avere una bella vita, così ha educato sua figlia e così entrambe educano Angelica e Viola sebbene entrambe soffrano il menage famigliare inculcatogli.
Angelica, sulla scia di madre e nonna vive con Mauro, un manager che potrebbe essere suo padre vista la differenza d'età, che la mantiene ma la considera poco più di una bambola da sfoggiare nelle occasioni ed adoperare per il proprio piacere.
Angelica è stufa di accompagnarsi a gente tanto più grande di lei, di vergognarsi quando le si chiede cosa fa nella vita e così decide di tornare all'università, primo punto di rottura sia con la famiglia che con il compagno che reputano la cosa inutile e piuttosto che incitarla la scoraggiano minando alla sua già limitata autostima.
Per caso, poi, conosce Luca, giovane barista che la turba e per la prima volta la farà innamorare mettendo in discussione tutto il suo modo di vivere. Riuscirà l'amore a superare l'interesse?
Inutile dire che si crea un grande scompiglio tra segreti, bugie, rivelazioni, liti e vendette tra sorelle.
Un romanzo tutto al femminile che vede più generazioni di donne, accomunate dal DNA ma tutte diverse tra loro. Un ritratto cinico che non è solo della società di oggi ma del materialismo che via via è andato crescendo dal secondo dopoguerra, la possibilità di fare scelte più comode e facili ma discutibili, con uno spirito d'attualità ammirevole se si pensa agli accenni alle nuove tecnologie.
Una lettura scorrevole e coinvolgente anche se dal finale agrodolce.

07 luglio, 2012

recensione IN VERITA' E' MEGLIO MENTIRE - KERSTIN GIER


Si può mentire per varie ragioni, principalmente lo si fa per difesa in maniera più o meno grave, più o meno deprecabile. Carolin, la protagonista di questo romanzo, lo fa per farsi accettare, più che mentire lei omette, cerca di nascondere la sua intelligenza per sentirsi normale e non spaventare gli altri. Ex bambina prodigio, plurilaureata, si ritrova a soli 26 anni vedova dopo la dipartita del suo maturo consorte.
La storia è complessa perchè il defunto Karl era il padre del suo primo fidanzato Leo, molto più grande di lei quindi e le aveva taciuto le sue disponibilità finanziariarie che emergono in seguito per dispute sull'eredità.
Carolin si ritrova in un limbo causato dal dolore, dalla costernazione per la sua perdita, dall'incapacità di vivere la sua vita da vedova e così, ospite della sorella, va da una bizzarra psicoterapeuta che in un modo o l'altro riuscirà a farla reagire.
E' un romanzo dolce ma allo stesso tempo triste, la perdita della persona amata non è mai una bella cosa, ovvio, ma si possono riscoprire anche altre cose, altri affetti e magari perdersi serve per poi ritrovarsi più consapevoli e forti di prima.
Una sorta di rinascita e seconda possibilità per essere davvero se stessi ed essere amati per come si è in realtà.
Linguaggio simpatico nonostante la traduzione, trama scorrevole, un'autrice che vorrei approfondire in futuro.

01 luglio, 2012

L'ATTESA


(...)Or la squilla dà segno
della festa che viene;
ed a quel suon diresti
che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
su la piazzuola in frotta,
e qua e là saltando,
fanno un lieto romore;
e intanto riede alla sua parca mensa,
fischiando, il zappatore,
e seco pensa al dí del suo riposo(...) 
Questo di sette è il più gradito giorno,
pien di speme e di gioia:
diman tristezza e noia
recheran l'ore, ed al travaglio usato
ciascuno in suo pensier farà ritorno(...)

Ho scelto un passo centrale del "sabato del villaggio", per introdurre questo editoriale.
Quando ero una bambina, verso la fine degli anni '70, aspettavo con impazienza il sabato, perchè il giorno dopo non si andava a scuola e i ritmi della settimana cambiavano.
Già allora, senza saperlo, mettevo in pratica "l'attesa" del Leopardi.
Il ritmo domenicale, poi, era abbastanza collettivo: gli uomini andavano a comprare il giornale e le immancabili "paste" e magari facevano anche una scappata a lavare la macchina nei fossi, appena fuori città.
Mentre a noi bambini, dopo la messa e il catechismo nel primo pomeriggio, non  rimaneva che l'oratorio e la televisione, ma subito a letto dopo il carosello!
Fine della domenica. 
...E pian piano si arrivava a sera, con la consapevolezza che ormai il giorno di festa, tanto atteso, volgeva al termine, lasciando il posto al solito tran tran settimanale.
Poi sono arrivati gli anni '80 e l'attesa si è prolungata...perchè alla domenica sera c'era la discoteca, preceduta dalla vasca in corso per "tirare l'ora".
Qanti anni sono passati da allora? 
Tanti.
Oggi le domeniche, all'apparenza, sembrano sempre le stesse...quartieri silenziosi e un pò assonnati...in attesa del lunedì che incalza.
Ma è appena poco lontano, nei centri commerciali, dove invece c'è il primo sintomo che, le domeniche sono cambiate forse per sempre.
Non sono così convinta, che l'obiettivo di andare in questi posti, sia sempre comprare, spendere anche di domenica insomma.
Penso piuttosto che il "sentire" sia un altro: fuggire da quel senso di malinconia, da quel "tempo morto" che solo l'apatìa domenicale sa dare. 
Stordirsi di luci e di suoni con l'illusione di trovare un senso.
Già... un senso, ma quale?
Perchè il senso di quella pace, forse un pò noiosa di allora, non lo sappiamo più riconoscere, forse neanche apprezzare e così prolunghiamo l'illusione che ci danno queste domeniche frenetiche, all'infinito.
Non so se prima fosse meglio o peggio, non ha poi così importanza.
Ogni tempo ha i suoi rimpianti, che a volte nemmeno rimpianti sono, ma solo ricordi artefatti.
Ma mi chiedo, che fine ha fatto il saper aspettare, al giorno d'oggi?
Buona domenica...   Laura  (Fenix)



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