29 agosto, 2015

SANTA DEGLI IMPOSSIBILI di DARIA BIGNARDI



Ci sono molte forme di preghiera, alcune sono inconsapevoli.
Per esempio ritrovarsi in macchina e cantare a squarciagola Io Vagabondo dei Nomadi, ripetendo il ritornello all'infinito è una di queste.
Poi ci sono i rosari di vostra nonna, quasi dei mantra, ciascuno con il suo santo dalle specialità esclusive, come santa Rita, la santa dei casi impossibili...
Questo piccolo libro, scritto come una sorta di diario dagli stessi protagonisti, Mila, Paolo e la loro figlia maggiore Maddi, parla di noi, parla a tutte noi.
Parla della stanchezza della quotidianità, del voler far tutto e farlo al meglio possibile, mentre intorno tutti ti dicono... che ci vuoi fare...
Parla anche di famiglia, della sua idealizzazione e insieme della difficoltà di reggerne il peso e conciliarlo con la libertà.
Libertà anche di uscire da sola e camminare sotto la pioggia, senza sapere bene dove si sta andando, purchè sola, purchè libera, almeno ogni tanto...
Ed è proprio sotto la pioggia che un giorno Mila ha un incidente, più cercato che capitato, anche se non ha il coraggio di ammetterlo nemmeno con sè stessa.
Si risveglierà in ospedale e farà amicizia con Annamaria, una teologa, sua compagna di stanza, che le parlerà di Santa Rita e del suo volo metaforico, quasi magico, che la porterà in convento, quasi un volo di libertà.
E qualcosa, in Mila, cambia...forse solo una luce alla fine del tunnel. Forse.
Questa, non è la storia di una conversione, ma semplicemente la storia  di una donna che chiede non solo un riconoscimento, ma anche del bisogno di condivisione, di essere  tutt'uno col mondo.
Alla fine, non ci è dato sapere cosa accadrà, perchè l'autrice conclude con Mila finalmente dimessa dall'ospedale e con quel ...Oggi non vado a lavorare. Non so ancora dove vado, però cammino...lasciandoci immaginare finali diversi.
Buona lettura  Laura




26 agosto, 2015

AMORE, PARIGI E UN GELATO AL PISTACCHIO - IRENE PECIKAR

L'inizio del romanzo mi ha riportata sulla Torre Eiffel visto che anche io soffro di vertigini come la protagonista e così ho visto la scena con i miei occhi. Ebbene, tutto ha inizio in quel di Parigi ma due anni prima del presente. 

La protagonista, Samantha, è lì con un uomo, chi sarà? Subito dopo si passa al presente a Milano, Samantha ormai lavora in proprio ed è single per cui, cosa è successo dall'idillio iniziale?

Questi interrogativi sorgono spontanei ma, procedendo nella lettura, pian piano si ottengono tali risposte di cui non voglio anticiparvi nulla.

Amore, amicizia e famiglia sono i protagonisti di questo romanzo assieme a bugie e verità intervallate da omissioni varie.

Con un titolo e una copertina così, sfido chiunque a non essere invogliato alla lettura, con questo spirito ho affrontato questo piccolo romanzo e devo dire che sono felice di averci dedicato un po' del mio tempo.

Una storia breve ma anche ricca di personaggi e situazioni. L'alternanza della prima metà del romanzo tra passato e presente da alla narrazione un ritmo veloce e crea interesse nel lettore che cerca di ricostruire i pezzi del puzzle.

Passa il messaggio che, come si sa, l'apparenza spesso inganna e bisogna cercare di sperare in positivo anche quando sembra tutto perduto.


15 agosto, 2015

UN PIZZICO DI... STORIA che invita alla riflessione




Di ritorno da un breve viaggio a Berlino in cui è stato interessante immergersi nella storia di questa città (da luogo di accoglienza per diverse etnie e religioni si trasformò in luogo di morte per le stesse), ho deciso di dedicare questa rubrica ad una delle sue piazze: Bebelplatz (già Opernplatz).
 

Questa piazza divenne tristemente famosa nel periodo nazista, precisamente il 10 maggio del 1933 quando fu organizzato un enorme falò in cui furono bruciati circa 25.000 libri contrari al pensiero nazista.
Perché Hitler ben sapeva che il modo migliore per sottomettere un popolo e trasformarlo in un esercito di burattini era limitarne la cultura, affinché mai si potesse aprire una breccia nella mente per immaginare un futuro migliore o anche semplicemente diverso da quello che lui proponeva.
Una tattica che ancora oggi funziona alla perfezione in altri luoghi del mondo dove si insegna solo ciò che è utile per addestrare chiunque al “sacrificio” per sterminare razze e religioni diverse dalla propria.
Perché la storia cambia forse i luoghi, ma si ripete all’infinito.

Oggi, nella Berlino che riconosce i suoi errori/orrori e dedica ogni giorno dell’anno alla memoria con diversi monumenti, uno per ogni etnia sterminata, a Bebelplatz c’è un lucernaio nella pavimentazione da dove è possibile scorgere una spettrale biblioteca vuota, simile a tante nicchie, grande abbastanza da contenere i 25.000 libri che furono bruciati quel giorno.
 
 

Opera dell’artista Micha Ullman, la libreria vuota ricorda una tomba a tutti gli effetti e, per coloro che storceranno il naso leggendo queste parole perché è impensabile paragonare uno sterminio umano a quello cartaceo, rispondo che è senz’altro vero, non fosse che… sempre a Bebelplatz, accanto al lucernaio c’è il motivo per cui ho scelto di narrare, tra tutti, questo evento.

Due targhe di bronzo riportano citazioni in tedesco. Una di queste è del poeta Heinrich Heine che, nel 1820 (quindi ben un secolo prima) scriveva una frase che si sarebbe rivelata atrocemente profetica e che ancora oggi rischia di avverarsi in altri, forse troppi, luoghi del mondo. La traduzione forse non è precisissima (non conosco il tedesco), ma il senso non cambia: “Laddove si inizia a bruciare i libri, alla fine verranno bruciate anche le persone”.
 

Perché bruciare i libri significa impedire o limitare la cultura, strumento fondamentale all’apertura della mente.
Perché l’apertura mentale è il vero nemico del manipolatore.

Perché ragionare con la propria testa è l’unica difesa che abbiamo a chi vuole trasformarci da persone a burattini e/o portatori di morte e non di vita.
Perché la cultura è vita.

Buona riflessione…
By Lisa

01 agosto, 2015

L'ARTE DEL PROCRASTINARE


Un paio di condivisioni online mi hanno dato spunto per l’editoriale di oggi, da una parte “Chi vuole fare qualcosa trova sempre il modo, chi non vuole farla trova sempre una scusa! “ e dall’altra “ Non si fa il proprio dovere perché qualcuno ci dica grazie, lo si fa per principio, per se stessi, per la propria dignità“ .
Ora, condivido entrambe le posizioni eppure, spesso finisco col procrastinare, vittima di una paralisi mentale del tutto personale.
Ora per procrastinare si intende il rimandare qualcosa per un certo periodo o a tempo indeterminato per cui penso un po’ tutti lo facciamo, che sia la dieta rimandata di lunedì in lunedì, la faccenda domestica, la visita di cortesia, lo studio o qualsiasi altra cosa che per un motivo o l’altro non ci va poi molto di fare.
Di mio sono una persona molto organizzata, piuttosto efficiente su molti aspetti eppure a volte resto vittima di questo impasse.

A voi capita mai? Per cosa, nello specifico?
E poi il tempo passa, inesorabile, finiamo col chiederci ma perchè questo non l'ho fatto prima? Magari le cose si complicano, certo, col senno di poi...
Anche se, penso che sappiamo che dobbiamo fare certe cose eppure a volte siamo indolenti perché credo sia nella natura umana.
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